Gian Maria Turi
- 23/06/2012 16:53:00
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A prescindere da ciò che lautore sa o non sa sulle cose della Shoah e degli altri genocidi commessi dai nazisti durante il loro breve e infame passaggio nella storia dEuropa, devo dire che trovo insopportabili questi esercizi di stile e di retorica su argomenti tanto disumani, tanto più che lautore se ne è formato una conoscenza libresca e immaginaria, mentre ancora oggi si possono leggere i testi dei testimoni e delle vittime - che sono davvero parecchi e tremendi. E non cè bisogno, tanto meno come esercizio letterario, di rivangare certi orrori come se si sapesse di cosa si sta parlando.
Si potrebbe obiettare che, allora, tutta la produzione letteraria e filmica dellolocausto è invalida se non prodotta da testimoni e vittime. Risponderei che è senzaltro vero, escludendo le indandigi storiche ma includendovi dentro "La vita è bella" di Benigni, acclamato dal pubblico dei gentili come mea culpa postumo e disinnescato e da quello ebraico come lennesimo spunto per ribadire il loro tremebondo status attuale, dentro e fuori da Israele, attraverso il vittimismo. In nessuno dei due casi si ricorda davvero, ma si usa la Shoah per fini di oggi ben altri dallavvisare e ammonire sui rischi di derive autoritaristiche, xenofobe, omofobiche, razziste come fu il nazismo.
(E anche sul nazismo ci sarebbe in lungo discorso da fare, dal quale mi autocensuro per non passare per filoqualcosachenonsono.)
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